La Città
Le Origini
La presenza umana nel territorio di Giulianova data dal periodo neolitico. Il ritrovamento di pesi fittili di forma sferica con foro centrale testimonia infatti la frequentazione dell’area da parte di popolazioni preistoriche o protostoriche dedite alla pesca. Tuttavia le origini di Giulianova risalgono agli anni immediatamente successivi alla conquista da parte di Roma della fascia medioadriatica, con la fondazione, intorno al 290 a.C., di Castrum Novum Piceni. Per la nuova colonia marittima, la seconda del Superum Mare, si scelse un terrazzo geologicamente stabile prossimo al fiume Tordino, con asse longitudinale parallelo alla costa, assai probabilmente occupato in precedenza da un centro piceno, chiamato Batinus o Batia, di cui alcuni significativi rinvenimenti, soprattutto frammenti di ceramica messapica, coppette e vasetti per unguenti, documentano gli intensi contatti con le aree dell’Apulia.
Pur mancando una sicura documentazione relativa alle mura urbane, tuttavia è pensabile che Castrum Novum Piceni, il cui impianto sembra discostarsi significativamente dai consueti parametri urbanistici delle colonie romane, venne fortificato assecondando le difese naturali del terreno, in primo luogo il ciglio del pianoro, mentre la piccola sella di raccordo con la parte più alta del sistema orografico, al limite settentrionale dell’attuale cimitero, fu opportunamente approfondita e trasformata in fossato, eliminando così l’unico settore vulnerabile presente nell’apparato protettivo.
I punti di accesso vennero scelti in funzione di un rapporto ottimale tra impianto urbano e collegamenti interregionali: in direzione di Roma per mezzo della via Cecilia, e mediante la Salaria verso gli altri centri della costa adriatica.
La città, nata come caposaldo per esercitare un penetrante controllo marittimo, divenuta importante nodo stradale e dotata di un impianto portuale si pensa esteso tanto alla sinistra che alla destra del fiume, rivestì anche, grazie alla sua posizione strategica, un rilevante ruolo commerciale.
Sondaggi eseguiti nel 1986, infatti, hanno messo in luce alcune strutture abitative, riferibili al periodo compreso tra la prima fase coloniale e l’età imperiale, con settori destinati ad attività artigianali, mentre le numerose lucerne recuperate nei saggi di scavo eseguiti tra via Gramsci e il vecchio cimitero rimandano alla presenza di un impianto di produzione locale in aggiunta a siti per l’immagazzinaggio: da ciò l’ipotesi di una distribuzione funzionale dei quartieri con attività specialistiche, in prossimità delle attrezzature portuali, che conservarono la loro vocazione sino alla tarda antichità.
Ricordato come centro potente e fortificato da Plinio, Tolomeo, Velleio Patercolo e Strabone, Castrum Novum Piceni, che in età imperiale ebbe anche i bagni termali, conobbe una forte espansione extraurbana in direzione della costa fino a raggiungere un perimetro stimato da alcuni studiosi in oltre due chilometri.
Gli strati murari del sottosuolo, e più ancora un tesoretto monetale scoperto nel 1828 in parte liquefatto e in parte arrossito dal fuoco, inducono a ritenere che nel corso della sua esistenza la città subì più di una devastazione: tuttavia Castrum Novum Piceni fu ricostruito se nel suo agro furono dedotte colonie militari da Augusto e da Nerone e se, almeno nel I sec. dell’Impero, ebbe un suo Prefetto.
Dalla Bizantina Kàstron Nòbo alla medievale Castel S.Flaviano
Nel periodo successivo alla tarda età imperiale l’abitato subì sicuramente una forte contrazione: forse a causa della eccessiva vicinanza al fiume, tutta l’area meridionale, quella cioè a carattere artigianale-commerciale, venne abbandonata e subito occupata da sepolture, come indicano le tombe a cappuccina scoperte una prima volta nel 1932 nei pressi della chiesa di S. Maria a Mare e come confermano analoghi e recenti rinvenimenti sul versante nord-orientale della collina. Sulle vicende relative al periodo post-romano le notizie sono scarse e assai frammentarie. Tuttavia le indagini sinora condotte indicano la trasformazione dell’antica colonia romana, durante il VI secolo, in castrum bizantino menzionato da Giorgio Ciprio col nome di Kástron Nóbo.
L’insediamento, per la cui fortificazione vennero riutilizzate le strutture difensive di Castrum Novum, continuò a rivestire un ruolo strategico assai importante. A presidio dell’incrocio tra la via litoranea e l’antico tracciato lungo il fiume Tordino, Kástron Nóbo, che pure continuò a servirsi degli impianti portuali dell’antico centro romano per forme di cabotaggio su rotte non marginali, fece parte del sistema bizantino di difesa presente lungo la costa abruzzese. Fu in questo periodo che venne innalzato il tempio poi dedicato a S. Flaviano, ubicato a nord, fuori le mura, e perciò molte volte danneggiato in occasione delle incursioni e degli eventi bellici.
La longobardizzazione di Kástron Nóbo, con acquisizione pubblica di una estesa proprietà pubblica poi passata per donazione ai possedimenti della chiesa teramana, si pensa dovette avvenire negli anni successivi al 590, seguendo la conquista di Ascoli, Fermo e, in territorio abruzzese, di Castrum Truentinum.
Documenti archivistici del IX secolo segnalano la nuova importanza acquisita dall’abitato che, consolidatosi sulla eminenza collinare subito a nord del precedente insediamento romano, fu protetto da un quadrilatero fortificato di derivazione bizantina con torri aggettanti agli angoli e lungo i lati.
Il borgo medievale prese il nome di Castrum S. Flaviani, poi mutato in Castrum ad Sancto Flaviano, Castrum in Sancto Flaviano e quindi nel XIII secolo Castel San Flaviano, in onore del patriarca di Costantinopoli. Secondo una tradizione antichissima e suggestiva, le spoglie di S. Flaviano, composte in un’arca d’argento, vennero inviate in Italia da Galla Placidia, figlia di Valentiniano III; la nave recante il “sacro deposito”, diretta a Ravenna, spinta da un fortunale sarebbe approdata sulle coste dell’attuale Giulianova con la traslazione dell’arca nella chiesa bizantina, nell’occasione forse trasformata nel grandioso complesso architettonico che ebbe larga rinomanza per tutto il medio evo e le cui vestigia ancora nel XVI secolo erano riconoscibili al geografo tedesco Cluverio.
Importante, ricca e prestigiosa, culturalmente vivace (vi nacquero i giuristi Berardo e Taddeo di S. Flaviano), attiva nei commerci marittimi grazie al porto cui venne aggiunto anche un hospitium per pellegrini e degenti non lontano dalla chiesa di S. Maria a Mare, che alcuni studiosi vogliono punto di riferimento spirituale per gli imbarchi in Terrasanta ipotizzando un suo collegamento ai Templari, la città, secondo il canonico alsaziano Joseph Anton Vogel persino sede episcopale e in cui numerosi e fiorenti furono gli ordini religiosi e gli edifici sacri, ospitò almeno due pontefici, Clemente II e Lucio III, oltre all’imperatore Arrigo III.
Feudo, a partire dal 1382, di Antonio Acquaviva, Castel S. Flaviano, oltre a patire saccheggi e devastazioni negli anni turbinosi del Trecento, venne coinvolto con effetti disastrosi nella famosa battaglia combattuta il 27 luglio 1460 nei suoi pressi fra le truppe di Federico Montefeltro e Alessandro Sforza da una parte, e di Jacopo Piccinino con Bosio Santofiore dall’altra.
Dieci anni dopo sarà il nipote di Antonio Acquaviva, il duca d’Atri e conte di S. Flaviano Giuliantonio, grande condottiero e raffinato protagonista della vita di corte tra Napoli, Firenze, Roma, Urbino e Ferrara, l’artefice della nascita di Giulianova, così chiamata in onore del suo fondatore.
La "città ideale" di Giuliantonio Acquaviva
Posta su una collina a nord della vecchia Castel S. Flaviano, i cui abitanti insieme con le principali istituzioni religiose e civili saranno progressivamente trasferiti nella nuova città, Giulianova viene concepita come baluardo posto al confine tra Regno aragonese e Stato della Chiesa con pieno controllo del sottostante mare infestato dai navigli turcheschi. La possente cinta muraria che l’avvolge viene realizzata facendo ricorso ai più moderni sistemi difensivi; anche il suo impianto, così come le principali emergenze architettoniche, a iniziare dalla possente chiesa di S. Maria in platea (ridenominata S. Flaviano nell’inoltrato ‘500), primo esempio di chiesa ottagonale nell’Abruzzo adriatico e dotata di un’ardita cupola che cronologicamente precede quella di San Pietro, rimandano alle più aggiornate riflessioni umanistiche, con la chiara organizzazione degli spazi, porte e piazze specializzate, edifici sacri collegati ciascuno al proprio ambito urbano. La straordinaria originalità, il raffinato linguaggio matematico-proporzionale come anche i complessi significati politico-militari e civili presenti nel piano di fondazione, fanno di Giulianova una “città ideale” sull’Adriatico. Da qualche tempo al centro di un appassionato dibattito nazionale, l’impianto della città rinascimentale è stato da alcuni attribuito, scartato Baccio Pontelli, a Francesco di Giorgio Martini, mentre recenti studi lo riconducono alla sicura consapevolezza delle teorizzazioni di Leon Battista Alberti.
La questione, scientificamente ancora aperta, non impedisce tuttavia di considerare Giulianova un’esperienza progettuale di eccezionale rilevanza nella civiltà urbanistica del Rinascimento.
La Giulianova Moderna
Dopo secoli di vita cittadina entro il perimetro quattrocentesco, nella seconda metà dell’Ottocento, sotto una vivace spinta demografica e con il miglioramento dell’economia locale, si ha l’espansione extramuraria dell’abitato collinare, il cui principale nodo urbano è costituito dall’attuale piazza della Libertà.
Anche il sottostante litorale, fino all’Unità d’Italia sostanzialmente deserto, grazie all’entrata in funzione nel 1863 del tronco ferroviario Ancona-Pescara e quindi, nel 1884, della strada ferrata per Teramo, registra una sempre più vivace attività sia commerciale che industriale. E’ qui infatti che Luigi Crocetti crea nel 1888 una società, la prima in Abruzzo, per la costruzione di mattonelle e lavori in cemento, presto emulato da altri imprenditori. Grazie anche alla “scoperta” del turismo balneare, con la costruzione nel 1874 dello stabilimento balneare e la presenza dal 1896 di un frequentatissimo Ippodromo, l’abitato a valle si infittisce di nuove costruzioni estendendosi progressivamente nelle aree adiacenti alla stazione. Ma la borgata “Marina”, nome della germinazione litoranea di Giulianova, pur condividendo strettamente le dinamiche di crescita comuni agli altri insediamenti costieri, tuttavia rispetto ad essi avrà caratteri distinti, mancando di produrre il ribaltamento delle gravitazioni.
E difatti nel 1934, quando la frazione ormai ha superato per abitanti lo stesso capoluogo e da tempo costituisce l’epicentro dinamico trainante dell’intero territorio, si opterà per la fusione amministrativa tra l’abitato collinare, che allora come oggi conserva saldamente la sede municipale, con quello litoraneo, che perciò assume la nuova denominazione di Giulianova Spiaggia e dove nel 1936 la già solida vocazione balneare, rappresentata dall’imponente Kursaal realizzato nella parte inferiore nel 1913 come club marino e ultimato in stile liberty quindici anni dopo come albergo assai prestigioso, viene rafforzata dalla costruzione del lungomare monumentale.
Nei decenni successivi al secondo dopoguerra, l’espansione urbana privilegia, seguendo uno schema a scacchiera, le aree litoranee meridionale e settentrionale e quindi quella valliva occidentale, non pregiudicando lo sviluppo armonico della città. Oggi, infatti, Giulianova, pur avendo una delle più alte densità demografiche della provincia, è tra i centri costieri abruzzesi a disporre del più alto coefficiente di zone verdi presentandosi nelle vesti di una elegante località, culturalmente assai vivace e apprezzata dai turisti per il finissimo arenile, per le sue dotazioni ma anche per le ricche testimonianze artistiche e monumentali.